L’intervento psicologico in un reparto Onco-Ematologico
Il lavoro psico-oncologico, che costituisce buona parte della mia pratica clinica, si configura come assai complesso dal punto di vista emotivo e personale, ed è necessaria una formazione personale e professionale adeguata a fornire spazio di elaborazione mentale ai pazienti, alle loro famiglie e al personale medico infermieristico. Ciò richiede un’ estrema consapevolezza non solo delle proprie angosce di malattia o di morte ma anche degli aspetti emotivi più profondi della propria personalità.
Pazienti e operatori si trovano normalmente a confronto con i grandi dilemmi dell’esistenza che la malattia oncologica implica:
• vita/morte;
• salute/malattia;
• piacere/sofferenza;
• giustizia/ingiustizia;
• condivisione/solitudine;
• reagire/subire;
• conoscere/scegliere di ignorare.
L’insieme di elaborazioni e di significati implicati dal confronto con tali dilemmi richiede un approccio professionale ed esistenziale, che sia da un lato ecologico e, dall’altro, ermeneutico.
Il lavoro che svolgo allo sportello di ascolto psicologico presso il DH ematologico dell’ospedale Cardarelli prevede l’accoglienza di pazienti e famiglie , con l’attivazione di interventi sia individuali che familiari.
Nell’ ottica sistemica il colloquio clinico viene definito “relazionale”, a prescindere se venga condotto con il paziente e/o con altri membri del sistema familiare. Il grado di coinvolgimento emotivo dei partecipanti al colloquio (intensità della relazione) viene valutato mediante osservazione e auto-osservazione di indici verbali, paralinguistici e cinesici. In ambito psico-oncologico l’intensità dello scambio emotivo all’ interno della relazione terapeutica costituisce un fattore predittivo del livello di alleanza terapeutica che si stabilisce tra equipe curante, paziente e famiglia.
Gli interventi individuali si distinguono in colloqui clinici volti all’accoglimento al contenimento dell’ansia e in interventi a valenza psicoterapeutica.Sulla base della mia esperienza clinica posso dire con certezza che i risultati più soddisfacenti si ottengano laddove è possibile fornire un supporto psicologico sin dall’esordio della malattia con una presa in carico che lascia spazio interventi successivi rapporto alle esigenze delle singole realtà.
Il grave impatto che la malattia oncologica ed ematologica ha sull’equilibrio psicologico di un individuo è ormai ampiamente conosciuto e documentato in letteratura. Nella mia pratica clinica le situazioni di stress emotivo e di disagio psichico sono di frequente riscontro sia nel malato di cancro o di malattie ematologiche sia nelle famiglie di appartenenza. Spesso la malattia è vissuta come un’aggressione, una cosa cattiva e le domande che assillano i pazienti sono molto spesso “Perché proprio a me?” “qual è la causa della mia malattia?”. ” A cosa è servito condurre uno stile di vita sano se poi mi sono ammalato lo stesso?” . Queste domande legittime rappresentano l’espressione del bisogno umano di cercare un significato per le proprie esperienze di vita.
L’ascolto empatico dei sentimenti espressi dal paziente è di importanza prioritaria soprattutto nei casi in cui la malattia presenta una recidiva. Qui, infatti, prevalgono i vissuti di sconfitta rispetto alla lotta precedentemente intrapresa contro il tumore e una frustrazione per la parziale o mancata efficacia delle terapie.
I sentimenti iniziali di incredulità e negazione si alternano a momenti di disperazione, di sconforto e i vissuti di rabbia possono assumere le sembianze di un attacco nei confronti dell’equipe medica in relazione alla delusione per il fallimento delle precedenti terapie.
Le famiglie che, dal mio punto di vista, si ammalano anch’esse di cancro o di leucemia hanno bisogno di uno spazio privilegiato in cui raccontare il loro dolore, facendolo circolare come un fertilizzante nel loro terreno relazionale.
La reazione della famiglia spesso incide sul tipo di alleanza terapeutica che il paziente instaura con l’equipe di riferimento; talvolta dinamiche collusive nella relazione equipe-famiglia interferiscono sulla libertà decisionale del paziente, rispetto alle scelte terapeutiche proposte.
Nelle famiglie colpite dal dramma della malattia oncologica ed ematologica spesso si instaurano dinamiche comunicative e relazionali patologiche: i confini con il mondo esterno si irrigidiscono, divenendo sempre meno permeabili agli stimoli e alle sollecitazioni, mentre quelli all’interno della famiglia diventano più labili e confusi.
Prevalgono stili relazionali fortemente invischiati, iperprotettivi, con tendenza all’evitamento del conflitto, mentre l’attenzione si focalizza sempre di più sui disturbi fisici del paziente, che in questo modo diventano il fulcro intorno al quale si sviluppa la danza familiare, fatta di alleanze, coalizioni transgenerazionali e strategie comunicative centrate sul mantenimento del segreto e dell’omeostasi all’interno del sistema(Vittorio Cigoli, Mauro Mariotti).
È necessario pertanto prendere in esame la qualità delle risorse sociali e affettive intorno al paziente e proporre un supporto psicologico alla famiglia, qualora il carico assistenziale risultasse eccessivo o insostenibile. Fornire strategie di coping maggiormente adattative, individuare forme di supporto sociali alternative, dare voce al senso di minaccia e instabilità, favorire una condivisione intrafamiliare dei vissuti emotivi connessi alla malattia sono strategie fondamentali per garantire al paziente un buon adattamento al percorso di assistenza.
Cosa è opportuno fare per sostenere psicologicamente al meglio il proprio paziente?
A seguito della prolungata esperienza, come psicologa della sezione AIL di Napoli, penso che per instaurare una buona relazione con il paziente oncologico ed ematologico sia estremamente importante ascoltare ed ascoltarsi prima di dire o di fare, proponendo un tipo di comunicazione non tanto basata sull’azione, sul movimento, sulla proiezione all’esterno quanto piuttosto sul sostegno emotivo, sulla comprensione empatica, sul conforto.
Uno strumento indispensabile è rappresentato dal linguaggio corporeo e gestuale anche una carezza, una calorosa stretta di mano possono esprimere assai più compiutamente delle parole la nostra disponibilità pratica ed emotiva al paziente.
Un altro utile consiglio è quello di evitare false rassicurazioni sulla situazione clinica del paziente. Infatti i pazienti possono beneficiare di forme diverse di rassicurazione non basate sul fatto che tutto andrà per il meglio ma sul fatto che qualsiasi cosa accada noi saremo loro vicini e faremo tutto il possibile per rendere di volta in volta affrontabili problemi che si presenteranno.
BIBLIOGRAFIA:
PSICONCOLOGIA, Percorsi, strumenti prospettive di ricerca di Gianni Amunni, Luisa Fioretto
Foto dal testo di Severino Cesari Con molta cura pp. 336 e 404